domenica 13 maggio 2007

Una terribile malattia infettiva.

Milano, ferragosto del 1827. Il sole picchia dalle prime ore del giorno, la canicola non risparmia nemmeno i gatti. Alessandro Manzoni, tuttologo di professione (scrive poesie, è bonapartista, si risciacqua i panni da solo, presenzia da Funari), adesso, alle quattro spaccate e due minuti, è in piena crisi. Quella mattina stessa, sul far dell’una, ha cominciato un nuovo romanzo e, dopo 435 pagine scritte dell’Edizione Arnoldo Mondadori Scuola, non sa più andare avanti. Un blocco creativo pari a quello intestinale di due anni fa, che lo costrinse alla conversione per andare finalmente di corpo. Incontentabile, non poteva stare senza anche perché, fra un 'plop' e l’altro, lui si diverte a contrarre e dilatare stomaco e sfintere quanto basta per creare le formine e rendere artistica anche la pupù: cubettini, cerchi, integrali… Se esce il triangolo equilatero, lui è contentissimo e salva l’evento in pdf. Bastava una quintalata di prugne senza nocciolo, ma il conto aperto con il suo fruttivendolo, che il collega Marinetti avrebbe poi combinato col conto del suo gommaio sfornando in velocità il Manifesto Futurista, era già parecchio lungo; quindi via di grazia divina che quella è come le ciliegie: ne puoi chiedere finché non ti fa tappo.
Arrivato alla fase dell’epopea bauscia, Ale non sa proprio più che inventare per mettere nelle peste il suo protagonista Renzo, uno che fermo non ci sta mai: ha pensato di farlo finire nelle grinfie di un conte-vampiro della Transilvania, tanto cattivo da essere innominato, ma poi gli è sembrato di non essere sufficientemente originale. Il brogliaccio bianco che gli si para davanti lo affligge e il cattivo umore lo deprime a tal punto da dover ricorrere al suo risolviproblemi preferito. Poveretto, a che punto è arrivato. Uno straccio d’uomo. Per rincuorarsi, ogni giorno Ale è solito chiamare la diletta consorte, dallo spregevole passato protestante, per punirla retroattivamente infilando il suo pendaglio da forca – un discreto 24 cm per 9 di diametro – fra le di lei colline pettorali, proprio giù in fondo al vallone dove il versante solatìo ha la peggio su quello bacìo. Vedendolo sparire di là da quelle, Ale immagina istintivamente l’infinito e, roso dall’invidia, spinge su e giù su e giù con sempre minor moderazione. Cercando la pace che la camomilla gli nega, ecco che Ale trova quel pomeriggio l’ispirazione e, nell’orgasmo dell’idea appena formatasi in mente, prorompe euforico: “la spagnola!, la spagnola!”, intendendo la novella peripezia in cui avrebbe presto capitombolato il suo Renzo, ovvero la temibile peste bubbonica del XVII secolo appunto conosciuta come spagnola. Enrichetta Blondel, moglie stupida e protestante, fraintende tutto e crede che il suo Ale abbia invece finalmente coniato un nome al giornaliero gesto analgesico e, leccandosi le labbra inondate dal risultato del suo trasporto creativo, replica con rara cretineria: “e allora questa si chiamerà crema catalana!”.

Al che, visto che il qui pro quo governa ancora sovrano, il Manzoni la piglia a ceffoni e fa anche bene.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

standing ovation for you, caro il mio fontina.. post impeccabile!

Fontina Boy ha detto...

Porcamiseria!
Un tuo commento me lo risognavo la notte, e spunta in agguato proprio ora, con quella pasta d'omo del Manzoni. Ah, ma allora mi seguivi nell'ombra? Grazie mille.
La prossima volta mi sa ci ficco Pirandello, quel saputello di carriole e animali infoiati.

Anonimo ha detto...

Lozissou, dopo ogni tuo post io sposto in alto la soglia della decenza e del buon gusto, e tu ogni volta la valichi e segni un nuovo record. Sempre più in alto. Sei il Reinhold Messner del trivio. STUPENDO!