giovedì 27 agosto 2009

L'estate















Cara maestra,
so che tu mi vuoi tanto bene (io però te ne voglio di più, cioè co-osì [sto allargando le braccia a 285° se non lo stessi capendo, cretina!]) e che non vedi l'ora di rivedermi per erudirmi n'atra vòta al mondo vasto e variegato della cultura e sgridarmi se faccio qualcosa di male, tipo vedermi Casinò di Scorsese (ma dico io: lo sai tu chi cazzo è Scorsese?! un grandeee!) sul palmare digitale di ultima generazione 1989 e fare tipo del casino, però qui c'è il dramma in atto e io sono tanto triste.
Ti spiego, anche se so che poco te ne fregherà, tu così sempre altera e severa nei riguardi dell'importanza (legittima eh!) della copula del predicato nominale ma, se mi permetti, come dire, insomma sì, fancazzista in merito ai turbamenti e agli sconvolgimenti che, chissà se li ricordi, turbano noi ex cittini che si sta per entrare in quinta elementare insomma io auspico ben altre copule, l'è capito o no?
Il fatto in pratica, come se poi tu non lo sapessi, è che l'estate è arrivata al lumicino e io fra poco rivedrò il tuo brutto (a volte però fai delle smorfie parecchio carine, devo ammetterlo - uhm, mi sa che questo inciso fra parentesi andava meglio messo dopo 'muso') muso e la cosa mica mi sfagiola tanto. È che voi maestre, ma anche maestri crederei, non la capite la bellezza e l'importanza dell'estate. Perché infatti ci date i compiti per le vacanze? Io mica l'ho inteso, ma stai tranquilla: non li ho ancora fatti e né li farò, e anzi sarò pronto all'eventuale pugna. Nel frattempo ho messo su una massa muscolare appena più che ridicola, occhio quindi. (Dai che poi nel caso ti consolo.)Ho fatto giusto questo pensierino perché, come sai, mi piace scrivere. Penso che dopo gli esami mi iscriverò infatti a Filosofia perché, secondo me, c'ho lo sbuzzo giusto.
L'estate, il caldo quello bòno, dura poco, io penso che sia fuggevole, tipo che dura tre mesi ma se va parecchio ma parecchio bene. Non è un pensiero vispo, questo? Te lo chiedo perché a volte mi capita di dirlo in giro e noto che la gente non mi capisce. I poeti direbbero che è caduca, ma io i poeti ancora non li capisco, anche se la tesina sul concetto di aleph in Borges me l'hanno tradotto fino in lingua maori e Cipì (oh, grazie eh!, quello m'è piaciuto proprio tanto) te lo saprei recitare a memoria e con intonazione.
Sai che c'è anche: che per me l'estate assomiglia alla vita di un uomo nel complesso di vite degli esseri umani. È parecchio breve e intensa e, per quanto ci si sforzi, alla fine finisce. Saludos, amigos, e tutti a casa! A me mi (so che a me mi non si dovrebbe deontologicamente dire, però -ah, quest'estate ho letto parecchio eh- l'ho trovato nel Manzoni e mi son detto: 'se lo usa lui, perché non dovrei usarlo anche io?'. Che dici, ho fatto bene?) pare un peccato che tutto questo calore, questo sole alla fine si spengano come un sipario della vita che in questo caso, per traslato, si può definire delle stagioni. Boh, insomma l'estate è una stagione viva ma se uno ci pensa un pochino alla fine è più morta e triste dell'inverno buio (tanto diciamocelo su: le mezze stagioni non ci sono mica più) che separa l'una dall'altra. Però basta non pensarci e tutto diventa bello e coloroso (è coloroso, non è che volevo scrivere caloroso sennò scrivevo caloroso scusa) di nuovo.
Concludendo, preferirei che l'estate durasse fin verso toh, dicembre a star calmino. Dici che si può fare? A chi ci si deve rivolgere, in caso? Se i miei me lo permetteranno, io ci provo. Magari un salutino il 14 settembre vengo a fartelo e toh, proprio se sarò in vena, fino all'intervallo ci resto. Poi però non ti fare illlusioni o non ci rimanere male se sarò uccel di bosco. (Parecchio uccel e poco di bosco. Ahah!)

Tuo,
Fontina Boy

ps. oh, quest'anno a Cesenatico la mi' mamma m'ha finalmente svezzato, poi ho pomiciato alla grande e poi ancora per la prima volta il lillo mi si rizzava quand'ero vicino a delle citte. Avrò mica contratto la sesta malattia? Non è che mi succederà anche con te? Magari fai una cosa eh, te dammi una nota se succede. Ciao, darling.

venerdì 14 agosto 2009

Giusto un flash

Ho un’istantanea di felicità. È rotonda e perfetta. È una piccola morte, ovvero un orgasmo. Mi ci potrei benissimo fare le seghe sopra e senza problemi verrei, eccitato ma anche arrapato. È come un fumetto, con l’azione congelata dalle sinapsi della memoria ma con tutto un movimento -un prima e un dopo- sotteso, tanto invisibile quanto corporeo e invasivo. Invade gli spazi fisici della percezione emotiva e ottunde i sensi. Fa male e il perché è semplice: la felicità non esiste, ciò che proviamo quando diciamo di essere felici è solo assenza di dolore e dal momento che ho detto che ne conservo una sola istantanea, fate un po’ i vostri conti. In pratica è come avere un album di icone della giornata più bella della vita e accorgersi che contiene solo una polaroid, e questa dopo tanto tempo e tanta luce sta pure sbiadendo. Ecco perché s’invecchia. Non ricordo la cornice, ricordo il quadro. Che saranno, gli anni Ottanta? Probabile, il riflusso sta venendo meno come le elementari e il mi' fratello inizia a scocciarsi di fare uno contro uno a calcio dentro casa: mi preferisce gli amici, la discoteca, il gel sui capelli, ci sta anche la cicala (ma non ne vedo mai girare tanta da queste parti). Io sono certo stia parlando della favola della formica e della cicala e non capisco perché tanto interesse per la cicala: la formica, provvida e lungimirante, è troppo meglio secondo me. Sono altri tempi: si pranza alle due perché il babbo rincasa dal lavoro solo allora e, non ci sono santi!, lo si aspetta per cominciare la liturgia; si vive in simbiosi con la mamma, dea antica, infallibile, generosa, sempre presente ma non ultraprotettiva (che fa rima con insicura), irraggiungibile nella scala dei valori, così lontana così vicina; si fa merenda sempre e comunque alle quattro e sono fette di pane col pomodoro e spremute -salute!- mica snack ipo- o iper-calorici; si gioca per strada, nel fango, nelle stoppie, fra le macchine (sono meno, questo è vero); si suda, ci si fa male, si portano i calzoni corti e le canottiere colorate da mare d’estate e la tuta d’inverno ma si hanno sempre i ginocchi (i ginocchi, sì!) sbucciati. Si ride sempre, di tutto; anche delle cicatrici ci si fa beffe, come pirati dei Sargassi. Siamo l'infanzia degli anni Cinquanta fuori tempo massimo. Scompariremo, infatti. Ci sono io e c’è il mio amico Giovanni, che vive poco lontano ma è un altro quartiere e andare da lui a piedi è come andare in un’altra città, bisogna studiare la cosa, pianificare gli orari, mappare i trasporti pubblici. E c’è la mamma, la mi’ mamma ma la mamma di tutti, enorme, titanica. Giunone, la moglie di Giove, e Giove è al lavoro. Siamo in casa mia, sgombra di mobili, tappeti, tendaggi, cianfrusaglie da case borghesi perché i bambini devono giocare: saranno sì e no 80mq ma sembra di stare a Central Park. Io e Giovanni ci nascondiamo e fuggiamo, non facciamo altro per ore e ore, forse giorni; e la mamma, con uno spillone enorme da spiedo che ha le fattezze di uno spillino per cucire neanche dei più corpulenti, ci insegue e minaccia di trafiggerci. Abramo dalle fattezze muliebri, è disposta a tutto pur di uccidere suo figlio e il suo amico, sicuramente gelosa della loro segreta, intima amicizia. Gelosa di qualcosa che la vita le ha fatto conoscere e poi, vita usuraia!, le ha tolto. “Ora vi prendo, ora vi sbudello!”, ci grida dietro trasfigurata. È un’ossessa e lo spillo, che tanto ripresenta vivo l’odiato momento delle punture, è il male. Lei, in quel momento, è il Male. Un male che ci fa paura, ma che non morde. Anzi no: da cui noi riusciamo a non farci mordere. Io ho la mano incollata a quella di Giovanni e, con uno strappo deciso del braccio, lo sospingo in avanti e lo salvo proprio mentre quella puttana della mi’ mamma sta vibrando il colpo fatale; un secondo dopo è lui a salvare me indicandomi come scivolare in velocità sotto le gambe della pazza furiosa. Non ci sono sconti, è lotta vera. Un patto non scritto: l’Amore accetta di interpretare l’Odio. E come ci riesce! Non ci sono né prima né dopo, c’è solo l’adesso della pura sopravvivenza e sopravvivere quando l’unica altra opzione è morire è rinascere, immacolati e felici.

Non ci ha mai preso, non ci ha mai sbudellato. Noi troppo bravi. Lei troppo strega e troppo fata. Una così non si incontra mica tutti i giorni.