giovedì 29 novembre 2007

Tubercolite

Io, per quanto mi riguarda, credo di averlo capito - il senso della vita, dico. No, anzi: l'ho sicuramente capito. No, anzi: lo capisco ogni giorno almeno due volte al giorno, spesso pure tre, quando va grassa quattro. Andate nelle case altrui, infilatevi in bagno e lo capirete, se quelli che vi abitano l'hanno capito - il senso della vita. Il dentifricio lo rivela; meglio, il tubetto del dentifricio. Vedete, le statistiche (mi sono informato) rivelano che il 97,6 % della popolazione mondiale, ovvero un bel po', strizza il tubetto del dentifricio a metà, spesso pure - quasi non si riesce a riferire - in cima, sulla cappella. 'Io che fòga! Io, che invece sono per il deep throat, vado alla base, immancabilmente (e ci mancherebbe), invariabilmente, pigiando su ogni piccolo, singolo residuo di pasta dentifricia. Che la guerra pòle sempre ritornare, e conviene mantenere l'improntitudine adatta. Ma è il gesto, poi, che è tutto, mica il risparmio. La gente strizza in cima, o, ripeto, ben che vada a metà, e pensa che sia normale, tale atteggiamento e la testa che l'ha materializzato. Questa è gente che, con la stessa leggerezza, se il tubetto ha il cappuccio a scatto mica lo richiude per bene (no, fa seccare tutto, è solo dentifricio in fondo, s'arcompra, i veri problemi son altri, la fame nel mondo è prioritaria, tesoro l'hai fatto il versamento all'Enpa?); gente che dà l'elemosina e vota Bacigalupo; che dice di essere ambientalista ma alla Cherokee Gran Turismo non ci rinuncia. Sono gli stessi che strizzano il dentifricio a metà o, brr, in cima e, poi, neanche lo rimettono nel bicchierino apposito, accanto allo spazzolino. Lui può stare lì, in orizzontale, sulla sporgenza di fronte allo specchio da bagno: ma che orizzontali, possibilmente freddi, ci diventino loro! Gente, gentaccia malevola, che leva la capsula ai deodoranti, prima di umettarsi, e poi mica la rimette. La lascia, pur'essa, sulla sporgenza di fronte allo specchio da bagno, presto una cloaca immonda di grumi al fluoro e di bave tricolori. Gente che ruma nelle padelle antiaderenti con i cucchiai di inox, che loro sono gente pratica, non vogliono beghe, van di fretta, son toghi loro, yuppi oh yeah! Gente già proiettata al futuro, col progresso nelle vene: il legno è anticaglia contadina, viva l'acciaio Shinobi. "Eh su dai, che vuoi che sia...": già certo, loro hanno la testa già altrove, al Biafra, alla questione del nucleare, a Madre Teresa di Timbuctù, ai potenti che hanno tutto tranne la felicità, alla colazione del Mulino Bianco. Io, che non dico di ciò che non ho sperimentato, c'ho provato, a fare lo stesso: ma niente, il cervello, dunque poi la mano, si opponeva, le sinapsi si associavano all'Anpi, i neuroni si trinceravano dietro la linea Maginot della passione, scoppiava il '48, il buttasu insomma, e alla fine si sanciva la vittoria del raziocinio sul caos. Era, ed è, giusto così. Quel dentifricio, e chi con e per lui lotta, vive, spasima, ci perde il sonno, i perdenti nati, i nerd, i fondi di bottiglia, i nani, gli ansiosi e astiosi, si secca, piglia la polvere, non protegge più lo smalto, perde l'Omega Tre, muore. Solo, sulla sporgenza di fronte allo specchio da bagno, che manda un riflesso: quello, opaco, della mia anima che ha capito il senso della vita.

Meglio della Pasta del Capitano gusto salvia e bicarbonato non esiste. Tonico e frizzante, ma leggiadro.

domenica 18 novembre 2007

Il mondo in un pugno.

Io, col fatto di essere stato un bravo chierichetto, mi sono fatto la mia prima sega pochi giorni dopo il compimento dei miei ventidue anni. Prima d'allora niente, nisba, nada, caput - lo giuro su Hitler e, volendo, sulla Stasi. Fino a tale età, per una burla subita e mai chiarita in età pre-scolare, chiamavo i misfatti manuali con il nome inappropriato ma ben più colorito di cavoletti di Bruxelles e quindi, pur facendomele, credevo ovviamente di fare altro. La mia coscienza rimaneva linda come il bucato appena steso al sole marzolino, e io ero un omino felice. Non avevo problemi di occhiaie, ci vedevo come un falchetto in cattività di Rapolano, andavo a messa anche ogni domenica, nemmeno osavo pronunciare la parola singolare femminile 'bestemmia', luogo di tautologiche perdizioni e di mise-en-abyme. Anzi, all'epoca mangiavo - che buoni! - ben più cavoletti di Bruxelles di adesso e credevo pure di essere uno degli artefici di tanta e tale prosperità, e sul mercato ortofrutticolo in generale e sulla mia tavola nello specifico. Già, perché poi, quando per sbaglio o per la foga dell'immedesimazione passavo dallo smanacciare il joystick Atari regalatomi qualche Natale prima alla regolazione della mia personale periferica, da me uscivano immancabilmente solo e sempre cavoletti di Bruxelles, annunciati da un sonoro che già all'epoca reputavo spiritosissimo: uaaaargh! Ah, questione annosa: non saprei dire, infatti, se ne producevo tanti perché ne mangiavo tanti o se, circolo virtuoso, ne mangiavo tanti proprio perché ne producevo tanti che mia mamma, dopo averne surgelati per tutto l'inverno dell'85, doveva finire per bollirli e servirli appena freschi.

A proposito: magari è per l'effetto serra o magari è perché i nazisti non hanno risparmiato nemmeno il neutrale Bruxelles, o magari chissà, ma sta di fatto che io i cavoletti non li ho più nemmeno trovati; e voi?

martedì 6 novembre 2007

Col Q, col Q!

Le fortune di una famiglia spartana e libertina quale la mia: ruttare e cureggiare non sono mai stati visti come una minaccia al buco dell'ozono. Anzi, tra i due, cosa inusuale, semmai più il ruttare veniva castigat ridendo moris che il secondo afrore. Forse perché il primo viene effettuato ad altezza viso, mentre il secondo là dabbasso non dà noia a nessuno, ancorché salga su poi, quasi a voler sfidare Dio e le sue leggi di gravità. Sarà che la mia famiglia, di generazione in generazione, è stata sempre una famigliola cara e normale, senza mai pregiudizi o timori reverenziali, ma da noi ogni "brot-rotoprot" è sempre stato salutato con un risolino degno di approvazione se non proprio di soddisfazione. Qua e là, di invidia se l'autore era stato particolarmente bravo e, duole dirlo, inimitabile; qua e là di scherno e derisione, più in generale di burla di quelle proprio ridarecce. Roba da non trattenersi. Ricordo, cronometro alla mano, un diciassette minuti e mezzo di veneficio conseguenza di una lofa di mio fratello che a tanti avrebbe dato fastidio e basta; a me fece invece crescere con un senso di inferiorità e di impotenza senza pari e che, nei giorni di luna piena, mi porto ancora dietro. La teoria è che cureggiare sia la dimostrazione lampante della più alta concezione di democrazia esistente: la cureggia, difatti, è uguale e libera per tutti, così i suoi strascichi incipienti. Tanto cureggia il nonno o il capofamiglia quanto cureggia il nipotino, in un circolo virtuoso di benessere morale e sociale. Che poi, a dirla tutta, è anche benessere fisico: l'espulsione dei gas stomato-intestinali, come si sa dai bollettini medici, evita la morte di tre mesi netti netti; e, per i fumatori, butta via la nicotina in eccesso che, altresì, formerebbe il fastidioso, parola che già mette ansia di suo, pancreas cancrenoso di brutto. Il problema principale, uno potrebbe dire, è il rispetto verso gli altri e lo stare in società.

Beh, da bravi lincolniani di ferro, noi di famiglia abbiamo sempre optato per la soluzione più consona e umilmente démodé: cazzi loro!