giovedì 22 febbraio 2007

La nostalgia.

La nostalgia è uno stato d’animo ma si fa sentire, e quanto. Ti prende e, in apparenza, ti lascia; invece, brace che cova, dracula in attesa del buio, è là che vigila. Come un invitato che alla festa preferisce il canto in disparte, la sua presenza ti è nota e, solo un tempo inquietante, ti è adesso familiare. Più cerchi di ignorarla e più le posi gli occhi addosso, ricevendo sempre il suo sguardo. Non sai dire se ti sorride o se sta facendo strani pensieri su di te, ma intanto la cerchi e vuoi esserne cercato.
La linea d’intesa è tracciata, invisibile come un parallelo, indelebile come argento di lumaca, e ti trovi a scoppiare a piangere. I passanti possono dimostrarsi gentili, interessandosi a te, ma non possono aiutarti: né di sollievo né di dolore, il sordo brontolio, come un rutto d’intestino, si è già incamminato, il rametto col sacco appeso sulle spalle, e tu non sei più capace di afferrare il presente attorno a te. Vorresti anche, ma non ce la fai. Hai un ologramma davanti: vivido, tangibile, non riconducibile a chi sei ora e a dove sei. Cos’è quel buco, là, sulla strada dieci metri più avanti da te, se non la trincea che, qualche anno fa, usava ripararti dall’attacco dei disgraziati bioastromostri verdi da Plutone? Come profuma di 1985, quel marzo spolverato di farina e le scuole chiuse, l’aria? Come splende, di luce di polvere, la pieve? Cos’ho lasciato, un amore, un souvenir, l’innocenza?
Non hai bisogno di trovarti altrove, o in una strada polverosa del Texas; magari aiuterebbe, ma potresti essere a casa tua, comodo sul divano, chissà se assorto. Arezzo fuori dalle finestre. Potresti leggere, stirare, fare i compiti. Scrivere. Sei tu, ora, luogo; tempo. Significante, significato. Il serbatoio della memoria, svasato, è ora un drive-in che proietta il mondo. I riflessi, visto l’elevato tasso di lamiere, si sprecano. Il sacco lacrimale, il tuo, è l’oceano.

Sì, maestra: così, in sintesi, descrivo il capocollo.

giovedì 15 febbraio 2007

Supereroi.

Ogni città vorrebbe avere il suo supereroe. La nostra, una città senza nome, ce l'ha ma forse non lo sa ancora. Il suo supereroe, infatti, si è talmente abituato alla noiosa quotidianità da essersi camuffato nelle sue pieghe. Come un camaleonte, però, avverte quando è l'ora di agire ed è sempre pronto a mutare pelle, fisionomia, improntitudine. La città senza nome non sa neanche che questa, forse, è la sua ultima missione qui.

Lui merita altrove.

sabato 3 febbraio 2007

American Gnicche.

El tutto cumincia un par de mesate fa: onnero a casina mia, senza sapecche fare e un dico mica il vuleffare da grandi, eh!, chello sa nissuno quello, quando mariva na mail che me dice se vulivo vire a fare il prodascion assistent in America, che manco sapevo che vuliva dire. E tutto perché, tralle e baralle, un qualcosina so riuscito a fallo pur'io: ho preso sta laurea nel cinematografo, chennè chen pezzo de carta de quel postaccio del Pionta.
Ensomma… l’America ragazzi!, mica chiuschino. Quelli che me dà el mi babbo dan par danni, cioè da quando me so laureato apunto, se chiameno nvece gnucchini, lu dice chen faccio nasega dala mattina ala sera: “O prova a entrare a lipercoppe!", me fa tanto che franpo' divento citrullo. O se a me me piace l’Esselunga?
Sicché, pensa e arpensa, me dico: massì toh!, oh andiamo da st’America. Finora l’ho vista in un par de filmi, Isi Raider, Forest Gamp e tituli cusì, e ora che c’ho il benservito, un ce dovrei vire? Envece ce vado ma anche de molto ala svelta!
Citti, alla fine ce so sbarco a Ollivud, nel mizzo de Lusengeles. Che ditto così, longo longo com’è stu nome, me par desse a Ciciliano, ma robbadamatti. Io pensavo proprio de costruilla, edificalla na sala col pruiettore e nvece la prima cosa che lamericani me dicono è: “Iar sinema is samfing artistic”. O che vogliono sti bruti che manco sanno di'ddu frasincroce? Mica c’arpensavo che noaltri italiani se parla i meglio del mondo!
Poi ce sono npar de cose che me sconvolge: ma ndo so arivo? Me sembra de stappela Casentinese, è tutt’un incrocio, un simafero, nviavai de casino, un diocristo chence se capisce niente.
Sicché anche qui m’artròvo a ire de qua e de là come ncòso, e ala fine me mitto ncerca del solarino che qua picchia dun togo e fa crescere du prugne che te le raccomando. Diobonino, è tutto el doppio, so già divento più alto e più largo nel giro de treggiorni. Anoeh! Come quando da picini te porteno dal Bubini ente c'artrovi fra tutti chi giochi, omadunnina.
Aete capito citti che l’America è ganza? Alò, che fate ancora costà? Poi, madunnina, un v’ho mica ditto la cosa più toga: qua le citte son disinvolte, c’han certe curve adosso che manco pella Libbia… e le mostreno anche sennè più stagione de primizie e uno, per raccontarla, manco se sconvolge più de tanto.


Quelle scacie, toh, a falla pari, c’avran delle nettarine che manco dal pòro schifo ormai se troveno. O alora chissà che pulezzine c'avran giù de sotto...