lunedì 4 agosto 2008

Odissea seminale, ovvero: Fontina Boy hardcore

Il giorno è oggi. Oggi è l'apocalisse; l'ecatombe. Con tanti saluti alla legge sulla privacy, oggi gli scienziati della medicina vogliono il mio sempiterno, semantico seme che, qui lo dico, assomiglia alla forfora sottaceto. Curvi sulle loro provette dal tappo rosso a vite, lo vogliono analizzare, studiare, sottolineare per bene, se riescono anche ripassare prima del giro di interrogazioni programmate. Per via di una tonsillectomia andata male, ci sta infatti che la mia borraccina non faccia crescere funghi e muffe, cosa perigliosissima per la conservazione della specie e dei presepi e indi per cui da evitare. Ho fatto il bravo e ho calcolato tutto: non rilascio da qualche giorno, mi sveglio tonico sul far del giorno, jogging in una Malibu Beach ancora deserta e spettrale, addominali q.b. e mano da chirurgo. Il bicchiere si colma che è un piacere, tanto che ne approfitterei per dissetarmi; la notte, tuttavia, m'ha lasciato idratato e ci rinuncio. Sono pronto per avviarmi al laboratorio, sicuro d'aver raccolto il vigore necessario per rinnalzare da solo questo maledetto Pil che ci affligge, quando vedo che il mio piccolo cane giallo - l'ingorda, slap slap, soddisfatta mi lecca tutto come a volerne ancora - ha mandato giù tutto quanto, forza maschia e suo contenitore che ora, incastratosi ad altezza scapole, le ha fatto venire la tipica conformazione a botte dei pincher. Così devo ricominciare ma stavolta, mi dico, direttamente in loco. Arrivo al laboratorio, in Via Einstein, che credo essere uno di quei centri igienizzati americani in cui pullulano mono-cellette, Kleenex, Hustler ed escort per la bisogna ma che invece scopro dotato di un solo bagno per gli spastici che, poveretti non è colpa loro, mi fa specie a priori; però non ho altra scelta. Entro in contatto col Dalai Lama, ché la sola forza fisica a Lazzaro non basta più, e spiritualmente inizio a smanacciarlo come un mattarino: davanti a me l'intera Pizzeria da Tònio sottoforma di calendario mi saluta con grandi affanni bidimensionali e mi offre l'allettante prospettiva di mesi futuri da vivere. Solo che il tugurio dà proprio sulla sala d'aspetto e sentir parlare di vene varicose e di Fondi Pensione Inpdap mentre io aspiro alla trascendenza mi fa perdere prima la fiducia di Dal (così lo apostrofo ogni tanto), che se ne va lasciandomi in braghe di tela, e appena appresso la concentrazione. Ho solo ancora mezz'ora di tempo per la consegna della reliquia, così cerco un eremo più isolato: il bagno del primo piano dell'ospedale sovrastante, inodore e insonorizzato. Là, nella pace dei sensi, tutto sembra funzionare: come se avessi il naso di Pinocchio in mezzo al cosciarume e avessi appena detto una bugia, qualcosa eppur si muove. Con decoro, mi sputo nella conca della mano destra e, animoso, ci dò con olio di gomito. Tutto bene, finché non arriva la donna delle pulizie, una tristissima immigrata, che vuole assolutamente pulire hic et nunc e il dover questionare con lei me lo fa ricadere come corpo morto cade. Non ho più scelta: la mia oasi dove appoggiare il nettare del mio seme gesù è sempre stata casa mia, laddove ritorno fra il mesto e il costernato. Aduso alla spontaneità, stavolta mi tocca ripiegare su ammeniccoli e parafernalia: spodesto mio babbo dal pc con la scusa "esci che mi devo fare una sega" e mi collego a YouPorn, che oggi - mutatis mutandis - nemmeno lui carica. Allora mi ficco in bagno e ripenso in flashback ai miei trascorsi edonistici: l'amplesso con Jennifer Beals nella cabina di pilotaggio del Boeing 747 per Caltagirone è ormai acqua fresca, la pedicure di Claudia Schiffer sulla riva di Viserbella Adriatica mi fa un baffo, il bagno di sciroppo e miele con Carmen Russo nella piscina gonfiabile del mio vicino di casa è un ricordo troppo lontano. Sto piangendo sale amaro, quando ex abrupto mi sovviene il ventre materno e fluido in cui sono stato in comodato per nove mesi e succede il patatrac: il grillo mi si ingrilla e faccio in tempo ad afferrare un bicchierino della Nutella, uno della serie delle Ranoplà, per poi riempirlo fin quasi all'orlo, senza residui di schiuma e con l'avvitamento da sommelier. Mi rifiondo al laboratorio, che nel frattempo si è trasferito in Via Pasteur, senza il mio solito passaggio di unguento Oil of Olaz: sono ancora dolorante di pulsazioni e tutto sgocciolante quando, attraversando in diagonale la fila, forse vittima di allucinazioni, sento parlare di rubinetti che perdono e di rincaro dei crackers alla sborra. Consegno il campione all'addetta di turno, una vecchietta con un cespo di insalata bionda sulla testa che si inorridisce al sapere il contenuto e preferisce restare sul vago apponendovi questa etichetta: 'crema chantilly tenuta troppo sul tegame'. Arriva anche il dottore che si umetta il dito di ambrosia e, passandoselo sulla lingua, commenta icastico: "non si preoccupi, ora gli diamo un bello sguardo". Penso che alla fine sia finita qui, tutto è bene quel che finisce bene, c'è di peggio (ma, anche, al peggio non c'è mai fine), quando mi volto per salutarli e li vedo, entrambi, ingozzarsi di tramezzini alla veneziana farciti di spremuta delle mie gonadi. Allora rifletto con rughe sulla fame nel mondo, ma il mio pensiero è distolto presto dalla visione di Dal che, come nei film muti, parla senza emettere suono. Alla bell'e meglio capisco cosa dice e, un po', concordo con lui:

Che giornata del cazzo!