La mia prima ragazza si chiamava Carmela Matrioska ed era, al di là di ogni credo e di ogni razza, tipicamente abissina. Era fatta in maniera particolare: per farvi capire, mi tocca ricorrere allo stratagemma del cuoco. Lo stratagemma del cuoco lo ha inventato il famoso gourmet Accen Dino, bravissimo nel dosaggio della fiamma dei fornelli, particolarità per cui, a seguire, venivano dei piattini che ve li raccomando. Il suo segreto è svelato, oggi che la mania di svelare tutto ha contagiato il cosiddetto mondo civilizzato, come postfazione di una raccolta di saggi dedicata alla manutenzione ottimale, in assenza di sale e spezie, dei cadaverini del Burundi. Lo stratagemma del cuoco è quella particolarità secondo cui ogni evento fenomenico della realtà viene ricondotto alla realtà specifica del cuoco, alla sua piccola e tenera epitome: la cucina. Per farvi capire meglio, lo adotto anche io: Carmela Matrioska, fatta in maniera particolare, era come una cipolla. Più strati levavi, e più veniva il bòno: quello che gli americani, tecnicamente, chiamano "hardcore" - "analcore" se l'oggetto di indagine è visto da dietro ovviamente. La cosa buffa è che lei, filantropa di natura, ci teneva a farsi vedere nelle condizioni migliori: quindi, dopo la prima limonata Guizza e il primo boing-boing alle sue melette là dabbasso, eravamo soliti ad andare in camera sua e io ero costretto a vedere il suo bonanimo. Il primo strato, notoriamente, era un kayak appiccicato a lei, da cui, con una tenerezza infinita, non si voleva separare mai. Le ricordava, simbolicamente, il padre, un vero uomo, morto nelle rapide del Gange di mattina presto. Per questo, e per sentirselo ancora più vicino, di tanto in tanto dava una leccatina al sangue raffermo sulla prua e poi, come un cagnetto affettuoso, ti leccata a sua volta. Voleva dividere ogni cosa lei, anche le sue toccanti memoires. Levarle il kayak di dosso, solitamente comportava la chiamata internazionale di Calzaturifico Coi Baiocchi, noto fabbro isolano. Lui veniva e, con la fiamma ossidrica, le levava il kayak di dosso. Tre volte su tre c'era il rischio che le ustionasse la faccia, al che - se succedeva - io le sputavo igienicamente sulla gota sinistra e le irroravo di bava il muso, rinfrescandola come Dio comanda. Il secondo strato era l'America: non la nazione in sé, figurarsi, bensì la proiezione cartografica di Gauss da cui, amante del globo, se ne separava malvolentieri. Tra il dire e il fare, insomma, si facevano spesso le otto e, siccome la mostra del suo bonanimo avveniva anche nei giorni lavorativi, a quel punto iniziava Arnold e io la piantavo lì in asso, magari turandole la bocca con della cenere di sigaretta avanzata perché avesse qualcosa da fare. Se invece era il weekend, tutto filava liscio fino al suo nocciolo duro: il cosiddetto bandolo della matassa. E, fra ampie vallate, collinette simil-senesi, tornanti da averci la nausea se non si guarda fissamente la linea della strada davanti a sé, una matassina di pelo nero in effetti c'era. Un triangolino che non era equilatero né isoscele, dei peggiori insomma. A me pareva di feltro e già mi beavo all'idea del rumorino dello strappo, ma mi sbagliavo: era puro velcro, non ancora infeltrito dai ripetuti lavaggi a 60°. Una delusione da non dirsi, in ogni caso. Fino a lì insomma, era come il Paradiso Caduto di Milton: lungo, noioso ma, diobono, alla fine t'aveva cambiato la vita. Da lì in poi, invece, ogni santa volta, il patatrac. Per carità, io potevo anche rimanere soddisfatto delle posizioni da lei preferite, che invariabilmente mi propinava come fosse semolino al febbricitante: il Missionario di Rivafratta, lo Smorzacandela nell'epoca della corrente elettrica, il 69 virgola sessantanove nove periodico, il Tegucigalpa, il Saluto al sole, l'Are Krishna e infine il suo cavallo di battaglia, da lei stesso inventato per di più: l'Aiotto-Aiotto-Crack. Poi, però, una questione morale, inesorabile, sopravanzava tutto e tutti: lei era vegetariana fitta e, come tale, rifiutava sistematicamente, irrispettosa dopo tutto quel che io avevo fatto per lei, il mio pensierino tenero e pensato proprio ad hoc nei suoi confronti: la Grande Farcia alla Crema Che Bontà. Niente, il fatto di essere vegeteriana giustificava, ai suoi occhi, il perentorio rifiuto nei confronti del mio siringotto da provette farciture, e io le dovevo anche dare retta secondo lei. Le ho provato a spiegare, ovviamente, che di plastica proprio non lo potevo trovare, il siringotto, e che se però lei pensava alla carne come fosse plastica, tutto sarebbe stato risolto, e io avrei avuto il mio tanto sospirato bombolottino alla crema chantilly, da buon esegeta quale sono.
Insomma, una volta passi pure questa miseria, ma poi basta, anche perchè la sua irragionevole compulsione vegana mi ha causato un forte complesso edipico per cui, adesso, le donne, invece che sedurle, le preferisco a julienne, e la cosa non sta più bene come una volta. Io sarò solo ma il suo destino, a quanto io sappia, è stato giustamente la S.S. 313 che da Follonica porta a Venturina, un bel pezzo di strada statale peraltro, la fortunata. Dovrebbe trovarsi ancora là, ma io non ci vado mica a trovarla: cippirimerlo.
5 commenti:
Che tu possa straginare il fontinaboico verbo anche nelle selve che presero nomenclatura dal prode Vespucci.
Ciao nocciolo e buona gitarella fuori porta, anche troppo fuori porta. Se incontri Julian McMahon digli che mi deve una ventimila lire.
Ah già che ci saranno anche loro ora... tpz, tpz, scrat, scrat... zac, fatto: trovate le loro mail. Ora gli scrivo che arivo.
elenco delle cose per le quali hai pensato a me scrivendo questo post:
1. Carmela Matrioska - questo nome potrebbe stare nel mio immaginario o esserci passato. senti se ti piace questo: Amintore Schiacciasperlari. senti quest'altro: Nestore Sculacciaorsi
2. il padre, un vero uomo, morto nelle rapide del Gange di mattina presto.
3. a quel punto iniziava Arnold e io la piantavo lì in asso
è quella cn il camper vero???
Preciso, lei. Come sta? Se la rivedi, salutamela prima di finirla a martellate.
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