
A inizio seconda media, ho risposto a tutte le domande del ragazzo bocciato che, a turno, ci vessa ripetutamente, totalizzando uno score parecchio altino: cosa sono le mestruazioni?, chi colpiscono per lo più?, pigliano se hai già avuto la varicella?, Moana ce l'ha sfondata?, e se ti pigliano gli orecchioni mentre ce l'hai duro?, i ditalini si fanno con l'indice o con il medio?, sotto la minigonna Lisa le porterà le mutande?, hai mai buttato una penna in terra per cercare di vedere la cicala della Luzzi-madonna-la-Luzzi? Così, passato quasi un anno, mi reputo abile al grande passo e, tre giorni prima degli esami, gli orali, appena dopo qualche giorno dagli scritti, vado al sodo, incontro al massimo pericolo, con coraggio. Faccia bassa, passettini nervosi, voce innaturalmente roca, cappello, occhiali da sole, amico con la barba di supporto, affronto l'edicolante sotto casa, quello matto venuto da lontano, quello che fino all'altro ieri era un mito per avermi trovato come arretrato il Topolino 1756 che credevo esaurito e che ora appare come Minosse, feroce giudicatore di anime ancora pie e innocenti ancorché piene di ormoni e titillanti. Prendo i Grandi Classici Disney numero 50, quello con "Paperino e l'eredità di Babe", che grande storia, un Massimo De Vita da memoriale, e un numero a caso de "Le ore", fra una caterva di pagine patinate ostentanti il bengodi. Non c'è tempo per la scelta, il primo che viene deve andare bene; va bene. Pago e via di filata alla ferrovia, in mezzo ai campi, ascensione lunare, corsa agli armamenti, il petrolio della Guerra del Golfo, i gambi dei girasoli a imperlare di sangue le ginocchia implumi. Il mio amico vorrebbe sfogliare lui e allora va messo in riga: due dita a righello in mezzo all'ipofisi, la sua, e il frusc-frusc delle pagine adesso è tutto mio. Spastico! Non c'ho mai visto tanto, ma adesso non ci vedo più: fiche spanate, nere come l'universo, misteriose come l'aldilà o il primadiqua, definite come gli A4 di Educazione Tecnica già riquadrati, rigogliano dinanzi a me, incicciolite da escrescenze di carne che paiono alveoli polmonari, come quelli della scheda di approfondimento 3bis del libro di scienze, paiono rose sbocciate al sole primaverile, pocce incontrovertibili che manco a gonfiare al massimo un Tango vien della roba così, culi a mandolino che Ligeti se li sogna la notte e a noi ci fanno suonare il flauto che io ho le dita brevi e non arrivo a chiudere l'ultimo buco, labbra di velluto e il Tegolino è già ricordo alla pari degli omogeneizzati. Stiamo tre ore lì, sette trenini del Casentino passati fischiando, fa quasi buio, io, onnivoro, leggo anche le didascalie, le note a pié di pagina, tutto incamero, il mio amico mi balzella attorno per cercare di superare l'ostacolo oppostogli dalle mie braccia, ma io mi oppongo risolutamente: la cultura è appannaggio di pochi. Spastico, aggiungo. Poi scaviamo come matti una buca due per due, stavolta collabora anche lui finalmente, tiriamo fuori la scatola da scarpe che ci siamo portati dietro, depositiamo il tesoro, il nostro, domani torno, dopodomani pure, e sotterriamo il tutto. Quanto resisterà, maledetti agenti atmosferici che vi ho studiato ma non siete ancora sotto il mio controllo?
Infine, gli esami: io, brillante, procedo oltre con ottimo, il mio amico da settembre si chiamerà ripetente. Che spastico, non superare questi esamini. La prima sega, quella sera stessa, già rigorosamente in bagno, è stato un distinto ma, a mio avviso, è servita pure lei.