E' il 7 ottobre 1985, non c'ho da ricordarmelo; ho cinque anni e la fimosi, anche a quell'età, fa uno spavento. Qualche anno prima c'era stata la sciagura del Titanic, paracci tutti, ora è il mio turno di soffrire. Ti pareva. Il questionare è semplice: io sono pigro, tetragono agli ammonimenti materni, e uno zinzinino tetraplegico. In pratica, all'atto pratico, dopo aver evacuato il panta rei io non mi lavo e torno al ludo che ho dovuto, a malincuore, interrompere per questi bisogni fisiologici che oh, capitano sempre inopportuni. Uno è lì che zulla e si diverte e tonfa, il pippi ti fa toc-toc laggiù dabbasso; un altro è là che costruisce le Lego e ficca forchette negli occhi del fratello maggiore e aritonfa, stavolta c'è del grosso, il puppu non ne vuol sapere di rimanere rintanato. Niente, manco si stesse giocando a nascondino, quello vòl fare tana a tutti i costi. Diobono! E così, un po' ribelle e un po' citrullo, io agli impedimenti esistenziali gli dò il meno ascolto possibile: finché posso reggo il malcapitato, a costo di diventare rosso-rosso e di sentire i gas e gli sfinteri chiedere pietà insieme all'ernia del discobolo là dinnanzi; poi alla fine, se proprio devo cedere, resto stoico e vado di fretta. Fedele alla regal massima: veni, vidi, vici.
Uno pensa d'essersela svignata e invece c'impara subito che la vita è amara, c'impara: sentendo del male e del tiraggio, chiamo il materno poltergeist e le chiedo che'l succede. La risposta è uno schiocco di lingua, uno schianto d'albero: secco, invita alla riflessione. Ho un'infenzione grillare, la carnulina che finora andava in su e in giù sul cappellino del cimbello laggiù ora è ferma, infissata, una farfalla sullo stecco del collezionista. Giù a provare di tirarla, e giù il patire: alle lacrime si mescola il sangue, in un groviglio di sensazioni che - già lo so - c'hanno il sentore dei cocci aguzzi di bottiglia. E il mammino, in questo caso, si dimostra provetta e amorosa: lo scalzare è penoso, alleviamolo con dell'olio di ricino mi dice, ma non ce l'abbiamo, e allora via di vaselina e di vecchio su e giù, su e giù, arinsoprella su e arinsoprella giù, fino al fatidico: "eppur si muove". Sarà, ma di poco, tanto che ora il lavoro va passato a qualcosa che umidifichi e ammorbidisca il tubero intergambale: eccolo, il linguino sempiterno molliccio del mammino che, come il tartufo del cane in salute, passa al vaglio il dramma e, piano piano, ne risolve i contusi. Anni dopo scoprii che fellone è la parola giusta per descrivere quell'operato materno, ma niente da eccepire in quella circostanza: fece d'un bene. Oddio, a dire il vero, fece anche talmente dolore che svenni ma io non me resi conto. Anni dopo, però, in circostanze tutto sommato simili, venni. Tu pensa se una "s" in più o in meno si può permettere di fare tanta confusione.
Fatto sta che il mi' lillino riprese il suo operato da stantuffo di carne, e io ritardai di ben 5 giorni e mezzo la mia prima ospedalizzazione; la quale sarà argomento di futura indagine.