domenica 19 aprile 2009

La sesta

(D.Leg. 123/90 bischero - Nuova materia introdotta nell'ordinamento: Le fulmicotonate.)


A D.,
it's all about love.

O oggi non ti incontro un'amica. E' bella bionda e quando glielo chiedo dice sempre sì. Felicissima di contribuire a sculacciarmi come se non ci fosse domani. Com'è come non è, mi fa capire che si vuol rassodare: "vado a farmi un'ora di pilates". "Veramente ti preferisco depilates", butto là carino, volendo alludere al fatto che non ne ha bisogno. Ma quella ha già frainteso e, con occhi di bragia, sentenzia in greco antico (è una che ha fatto il classico e se può lo dà a vedere): "déphilates". Ci sentiremo ogni domenica mattina per il consueto scambio di formazioni del fantacalcio, ma l'amicizia -colpa sua- può dirsi conclusa.

Intensità ridanciana: 79,1%.

martedì 14 aprile 2009

Baustelle - 'Sussidiario illustrato della giovinezza' (Italia, 2000)
















Musical-movie nostrano, in dieci episodi e dal culto giustamente crescente: dimenticate Fred Astaire e il tip-tap fintoamericano di Ginger Rogers e gli studios altoproletari di Hollywood e, piuttosto, riesumate dal vostro inconscio la (Pulp)itante voce di Don Powell che intona parole e musiche di Carlo Savina in Pochi dollari per Django. Un sound caldo e dolce, d’altri tempi e forse dedicato a esseri umani di altre epoche, come i film di Mario Bava con Al Cliver-Pier Luigi Conti o Alan Collins-Luciano Pigozzi: ma da quale era provengono i Baustelle (che in tedesco da pronunciarsi con la “e” stretta significa “cantiere” e anche “lavori in corso”)? Uscito alla chetichella e presto assurto a mito stracult da parte di una generazione nostalgica cresciuta a base di spuma bionda e figurine Panini: scoperto [chissà come e dove (il fatto è che non lo so proprio)] da tal Gizmo, novizio Fofi d’avanguardia melocinematografica. Stupisce la lunga durata di ogni singolo pezzo, anomala nel panorama italico; il tono ondivago e autoreferenziale può stufare, poi, solo chi non ama le saghe. Da dedicare, oltretutto, alla squallida canzone che il Piotta (credo) esegue durante la sigla del programma estivo Stracult. Da analizzare, in senso prettamente visivo, ogni singolo segmento; ecco una serie di riflessioni personali, dette “sottovoce” e dettate da emozioni, suggestioni e impressioni:
1) Le vacanze dell’83, che sono quelle “sintetiche” e fondamentalmente asettiche dei Vanzina di Sapore di mare, ma anche quelle della “colonia estiva” del lovecraftiano Zeder di Pupi Avati e quelle erotiche del primo vero grande cul(t) di Tinto Brass La chiave. La voce sinuosa di Francesco Bianconi si insinua, nel mix musicale di Fausto Leali e Bruno Lauzi composto dai restanti cinque artisti, come una morriconeggiante colonna sonora di Morricone in un film di Sergio “The Master of the Western” Leone. E, infatti, è la malinconia, l’elegia, la nostalgia, l’epica a prevalere: d’altro canto anche il titolo stesso dell’album, poi, stabilisce fin da subito il tono e i temi delle varie canzoni. Film di riferimento: Compagni di scuola di Verdone (perché il suo modello, Il grande freddo di Kasdan, è nettamente inferiore);
2) Martina, forse l’unica dark lady veramente sincera di fine millennio, dopo che anche Dario “HoSonno” Argento ha tradito la sua vocazione sadico-castratrice di fare della donna l’arma più a doppio taglio che esista. Narrativamente è un unico primo piano cinematografico, che esplode in una serie di angoscianti e suadenti dettagli. Non so perché ma mi ricorda Malick e il suo senso per il paesaggio e per la natura, e anche il coretto che accompagna le immagini dell’incendio della casa nel mirabile Badlands (1973). Film di riferimento: nessuno; musa onanistica di riferimento: Edwige “Bona” Fenech;
3) Sadik, dedicato agli anni ’70 in pieno: ai fumetti anti-Disney, alle sorelle Giussani, a Dario Argento (“quattro piume di cristallo”), allo slasher-movie inaugurato -con buona pace degli americani- da Mario Bava. Film di riferimento: Io, Emmanuelle con l’italianissima Erika Blanc. La dedica va (sperando che qualcuno l’abbia visto) a Il profumo della signora in nero e alla sua splendida colonna sonora di Nicola Piovani;
4) Noi bambine non abbiamo scelta, dedicato tout-court al cinema, vera e propria droga intellettuale. Verrebbero in mente i gialli pop-bradipeschi di Umberto Lenzi, ma la cultura trash ormai ha saziato tutti: la dedichiamo alla Gradisca, a Rimini, a Fellini, ad Amarcord e alla Strada. Il motivo? Noi “bambini-cinefili” non abbiamo altra scelta;
5) Gomma, tutto costruito come un grande carrello all’indietro su una certa epoca, quasi a seguire lo sfilacciamento di un “masticone” (ovverosia, per chi non conosce lo slang toscoaretino, il chewing-gum, la “gomma” del titolo). Forse il pezzo più soave, quello più made in Usa, anche se non mancano i riferimenti alla nostra cultura nazional-popolare (provinciali, liceali e via discorrendo); da dedicare, per ovvie necessità, all’uomo Cimino che fu (in tutti i sensi): Una calibro 20 per lo specialista, fra tutti, sembra il film a cui si “appiccica” meglio;
6) La canzone del parco, Antonioni, l’incomunicabilità, L’avventura, la partita-fantasma di tennis nel parco in Blow-up, l’ipotetica “swinging London”: e poi più;
7) La canzone del riformatorio, triste ma vitale, come un Vittorio De Sica postneoralista o un Gianni Amelio chiamato a dirigere la versione infantile e neo-neorealista di Thelma & Louise. Generazionale. Epocale, come Dario Argento che credeva sul serio alle streghe (ma noi ci dovremmo credere?) mentre girava Suspiria. Ambientato, per empatia autobiografica, in un autoreferenziale 1980;
8) Cinecittà, vengono in mente, alla rinfusa, Pasolini, la Nouvelle Vague, i cartelli e le didascalie alla Godard, un film metanarrativo di un mio amico, Gola profonda e le "boogie nights" e, naturalmente, via Tuscolana a Roma e tutti i “mondi” che sono usciti da lì. La più ovviamente (ma non banalmente) cinematografica: e se la fonte d’ispirazione non fosse tanto Fellini ma Tim Burton?;
9) Io e te nell’appartamento, l’episodio più sfuggevole, triste come una commedia sopravvalutata di Billy Wilder e comico come una pochade sottovalutata (ma non troppo) con Alvaro Vitali o Jacques Tati;
10) Il musichiere 999, il più spudoratamente citazionista, la canzone degli anni ’60 (prezioso l’omaggio ai grandi sceneggiati televisivi come Belfagor, interpretato dalla Greco), dedicata all’arte, alla musica, al cinema. Esemplare epigrafe di un album memorabile, suona come questa dedica: “Per me… e qualcun altro”.


GIUDIZIO: ora che ci ripenso, si può da-àre di più.